Zuppa, minestra, vellutata, minestrone e ribollita non sono tutti sinonimi, anzi! quando si parla di preparazioni in brodo la faccenda si fa seria perché, seppur le differenze possano sembrare minime, ogni ricetta racconta una tradizione culinaria e un modo unico di interpretare la cucina povera.
Bisogna infatti dire che tutte le preparazioni di questo tipo nascono dal bisogno delle famiglie povere che avevano pochi ingredienti a disposizione. Devono quindi nutrire, dare energie e ristorare e la ribollita ha proprio queste caratteristiche.
Le zuppe più famose d’Italia
Ci sono alcuni piatti, come la ribollita, che entrano nel cuore delle persone, rimanendo parte del patrimonio culturale di regioni molto diverse tra loro. Così come la pizza è sinonimo di Napoli e lo speck lo è del Trentino, la ribollita lo è della Toscana.
Esistono però tantissime altre ricette in brodo, quali sono quelle più famose?
Iniziamo prima parlando delle differenze che intercorrono tra zuppa, minestra, minestrone e vellutate.
La zuppa è densa, rustica e priva di pasta o riso. Di solito vede l’inserimento di legumi, verdure e pane raffermo.
La minestra è più fluida e prevede di solito un cereale come riso, farro o della pasta.
Il minestrone, invece, è una via di mezzo tra le precedenti due: contiene verdure ed è più corposo pur non essendo cremoso.
Infine, la vellutata è una versione setosa, omogenea e dal gusto delicato di verdura come zucca, cavolfiore, patate e può essere arricchita con panna o formaggi freschi.
L’Italia è percorsa da climi molto diversi, che oltre a darci panorami invidiabili, consentono di coltivare alimenti molto diversi. Per questo ogni regione ha zuppe e minestre regionali, ognuna con carattere e storia.
Al nord troviamo piatti calorici e ricchi come la zuppa valdostana, preparata con verza, pane di segale e fontina DOP. Ha un sapore pieno e una consistenza densa e filante. In Friuli-Venezia Giulia e in veneto si prepara la jota, che è una zuppa molto saporita grazie all’unione di crauti, fagioli, patate e cotiche di maiale.
Nel centro Italia troviamo la pappa al pomodoro con pane vecchio, pomodori e basilico si uniscono in una crema dolce o l’acquacotta maremmana, preparata con cipolle, pomodori, sedano e uova in camicia.
Andando verso sud le zuppe diventano più aromatiche e speziate: la minestra maritata napoletana unisce carne e verdure. In Calabria e Basilicata regnano le zuppe di legumi e cereali, come lenticchie, cicerchie o fave.
Cosa hanno in comune tutte queste ricette? Sono svuota frigo, nate per non sprecare nulla e che possono essere personalizzate in base a gusti e ciò che si ha già in casa.
È proprio da questa filosofia culinaria, unita all’ingegno contadine che nasce la ribollita, una piatto toscano che cambia il palato delle persone che l’assaggiano.
Rustica, saporita e carica di storia, è molto più di una semplice zuppa, è un simbolo della saporita cucina popolare italiana.
La Ribollita
La ribollita è uno dei piatti che più identifica la cucina toscana povera, pur trattandosi di una ricetta umile, il risultato è un complesso di sapori che il palato non dimentica facilmente.
Come suggerisce il nome, “ribollita”; è una zuppa che viene riscaldata più volte dopo la cottura, fino a diventare densa, cremosa e amalgamata alla perfezione. È proprio questo il segreto della sua bontà: la seconda bollitura che ne esalta gusto e consistenza. Inoltre, la ribollita è sempre più buona il giorno dopo, per questo veniva cotta due volte.
Quali sono gli ingredienti principali? Ogni ricetta ha delle aggiunge o modifiche, ma non possono mancare:
- Pane toscano raffermo
- Cavolo nero
- Fagioli cannellini
- Carote
- Sedano
- Cipolla
- Patate
- Pomodoro
Ognuno di questi ingredienti ha un ruolo ben preciso che concorre a rendere unica la ribollita. Il cavolo nero conferisce un aroma terroso e il colore tipico, i fagioli aiutano a renderla ancora più cremosa, il pane infine lega tutti gli altri ingredienti insieme.
Proprio grazie al pane, rigorosamente senza sale, la consistenza risulta corposa e vellutata, tanto che potrebbe essere mangiata con la forchetta. Il nostro consiglio è poi quello di aggiungere, dopo la cottura, un giro di olio extra vergine toscano che aggiunge un nata aromatica extra al sapore già sapido e profondo.
Come abbiamo detto, si tratta di un piatto povero, nato per utilizzare al meglio gli avanzi presenti in cucina.
Come preparare la ribollita
Preparare la ribollita è piuttosto semplice. Durante la prima cottura si devono cuocere insieme verdure, cipolle e legumi, a questi viene poi aggiunto il pane raffermo che, lentamente, si scioglierà fino a diventare una vera e propria crema.
Come suggerisce la tradizione, il tutto deve essere lasciato riposare per una notte intera. Il giorno dopo si fa bollire una seconda volta e si può servire con una macinata di pepe e un filo d’olio a crudo.
Storia della ribollita
Qual è la storia della ribollita? Sappiamo che questo piatto ha origini antiche, che risalgono al Medioevo. Nata come piatto di recupero per le famiglie contadine, è l’evoluzione di fette di pane intriso di sugo e verdure che venivano fatte ribollire per essere mangiate il giorno dopo.
Con il tempo questa abitudine è diventata una ricetta vera e propria, codificata e modificata a seconda degli ingredienti più facilmente reperibili. Nella zona di Firenze, ad esempio, il cavolo nero è protagonista del piatto, nel senese e nel pisano invece si trovano versioni con bietole, cavolo cappuccio e patate.
Differenza tra ribollita e minestrone
Anche se a prima vista sembrano simili, ribollita e minestrone sono molto diverse. Il minestrone è un brodo consistente di verdure dalla consistenza fluida e leggera. Ogni verdura riesce a mantenere la propria consistenza e il suo sapore rimane indistinguibile. Il sapore finale è quindi comunque fresco, leggero e vegetale.
La ribollita è invece una zuppa cremosa e densa in cui il pane assorbe completamente ogni liquido e diventa parte del piatto stesso. La prima cottura serve per cuocere e amalgamare bene gli ingredienti, la seconda concentra i sapori. Il risultato è un sapore pieno, profondo e quasi terroso.
di Sofia Pettorelli