Cos’è la pinsa romana? In questo articolo vi raccontiamo le sue origini, le differenze con la pizza romana, le caratteristiche dell’impasto e della sua ricetta, leggera e versatile
Negli ultimi anni la pinsa è diventata una presenza fissa nei menu di pizzerie e locali specializzati ma anche del banco frigo dei supermercati. Spesso è descritta come una “pizza romana antica”, più leggera, più digeribile e legata a una tradizione millenaria, il che è vero, ma servono dei chiarimenti in merito.
Cos’è davvero la pinsa romana? Da dove nasce e perché non può essere considerata una vera pizza romana? In questo articolo vi aiuteremo a distinguere, d’ora in poi, il marketing dal recupero della tradizione e dall’innovazione moderna. Perché la pinsa ha un valore preciso all’interno della cucina romana tradizionale e, per questo, merita di essere rispettata per la sua identità unica.
Cos’è la pinsa romana?
La pinsa romana, così come la conosciamo oggi, è un prodotto da forno realizzato con un impasto caratterizzato da un’elevata idratazione e da una miscela di farine che generalmente comprende frumento, riso e soia. La sua forma è ovale e allungata, la crosta risulta croccante all’esterno mentre l’interno resta leggero e alveolato. La pinsa non è mai troppo alta e spessa – a differenza della focaccia o della pizza napoletana più gourmet e contemporanea – per questo si distingue per la sua digeribilità elevata. Una caratteristica dovuta sia alla composizione dell’impasto, sia ai lunghi tempi di lievitazione e maturazione.
Dal punto di vista tecnico, la pinsa non nasce come variante regionale della pizza, ma come prodotto distinto. Spesso è servita già parzialmente cotta, poi farcita e completata in forno, una pratica che la rende particolarmente adatta alla ristorazione moderna e al servizio rapido. Questo aspetto operativo ha contribuito in modo significativo alla sua diffusione, anche nel banco frigo della Gdo, come alternativa comoda alla pizza da preparare in casa e cuocere in forno per pochi minuti.
Un altro aspetto curioso è legato alla nascita dell’Associazione Originale Pinsa Romana nata con il compito di tutelare e far rispettare la qualità della pinsa anche nei locali e nelle pinserie che oggi spopolano nella maggior parte delle città italiane.
Inoltre è importantissimo sottolineare la differenza tra pinsa e pizza che non risiede solo nella forma o nella croccantezza, ma anche nella struttura dell’impasto e nel principio che ha dato i natali a questo prodotto.
Le origini (antiche) della pinsa
Il nome “pinsa” viene spesso collegato al verbo latino pinsere, che significa “schiacciare” o “allungare”. Le origini di questo lievitato sembrano proprio legate all’Antica Roma e a quel prodotto da forno e a presunte focacce consumate dalle popolazioni più contadine, fuori dalle mura della città. Le origini della pinsa “moderna”, per come la intendiamo oggi, sono decisamente più recenti e risalgono alla fine del ‘900 e primi anni 2000. La figura a cui viene attribuita questa invenzione è il tecnico pizzaiolo Corrado Di Marco, imprenditore italiano che nel 2001 decise di registrare il marchio pinsa romana. È in questo periodo che viene messo a punto l’attuale impasto della pinsa romana, frutto di sperimentazioni su farine, idratazione e tempi di lavorazione. L’obiettivo non era recuperare una ricetta antica, ma creare un prodotto nuovo, ispirato al passato solo nel nome e in alcune suggestioni narrative.
Pinsa vs. pizza romana: le differenze principali
Uno degli errori più comuni è quello di considerare la pinsa una semplice variante della pizza o della pizza romana, in una sua veste più light. In realtà, le differenze tra la pinsa e la pizza sono diverse e partono dagli ingredienti utilizzati per preparare l’impasto, per arrivare poi alla cottura, farcitura e all’aspetto finale.
La prima riguarda le origini: la nascita della pinsa è più recente rispetto a quella dell’antichissima pizza romana, attribuita al Secondo Dopoguerra. La seconda la forma, la pizza romana è tonda, mentre la pinsa ha una forma più allungata e rettangolare. La prima, inoltre, viene generalmente stesa in modo uniforme e sottile, mentre la pinsa è modellata in modo più delicato nel tentativo di preservare l’aria all’interno dell’impasto. E, altro aspetto importante, il suo impasto viene sempre lavorato con acqua fredda.
Anche la cottura segue delle logiche differenti ed eccoci arrivati alla terza differenza: la pizza romana punta su una base secca e croccante, la pinsa su un equilibrio tra crosta esterna e mollica interna più soffice. Comprendere la diversità di questi due prodotti è fondamentale per apprezzarli al meglio.
Perché la pinsa è considerata più leggera
La percezione della maggior parte degli amanti della pizza – o simili – quando approcciano alla pinsa romana è quella di un impasto più leggero e digeribile. Ed in effetti questo è vero se si prende in considerazione l’alta idratazione, che contribuisce a una struttura più ariosa e a una consistenza meno compatta rispetto a quella della pizza tradizionale.
Un altro elemento chiave è la miscela di farine. Accanto alla farina di frumento, vengono spesso utilizzate farine di riso e di soia, scelte più che altro migliorare la resa dell’impasto. Il riso contribuisce a una maggiore leggerezza e a una crosta più asciutta. Mentre la soia conferisce struttura e friabilità, oltre a favorire una migliore gestione dell’idratazione.
Fondamentali sono anche i tempi di lavorazione e maturazione. L’impasto della pinsa viene sottoposto a lunghe maturazioni che possono raggiungere anche le 48 ore con farine più forti. Questo processo può incidere positivamente sulla digeribilità del prodotto finale, soprattutto se l’impasto è realizzato e cotto nel modo corretto.
Sono proprio questi fattori – dall’idratazione al mix di farine, fino alla gestione dei tempi – a costruire l’identità e a conferire la bontà alla pinsa.
Ricetta della pinsa: come si prepara la base
Ma come si prepara l’impasto della pinsa? Si parte da una miscela di polveri, in cui la farina di frumento resta predominante. A questa si affianca una piccola percentuale di farina di riso e di soia. L’acqua viene aggiunta in quantità elevate rispetto agli standard della pizza tradizionale ed è sempre fredda, mentre il lievito è usato con moderazione. In particolare si preferisce utilizzare la pasta madre essiccata. Dopo una prima fase di impasto, spesso piuttosto breve, la massa viene lasciata riposare a lungo, generalmente in frigorifero, per consentire una maturazione graduale.
Una volta terminata la maturazione, l’impasto viene porzionato e lavorato con estrema attenzione. Non servono utensili o mattarelli, l’impasto deve essere trattato con delicatezza – e non schiacciato – per non far disperdere l’aria sviluppata durante la fermentazione. È in questa fase che si ottiene la tipica forma ovale, leggermente irregolare, che distingue la pinsa romana.
Si passa poi alla cottura che solitamente avviene in due fasi. Una prima “in bianco”, ovvero senza condimenti o farciture, serve a fissare la struttura dell’impasto, rendendolo croccante all’esterno e soffice all’interno. La seconda avviene dopo la farcitura e dura soltanto pochi minuti o comunque giusto il tempo necessario per scaldare l’insieme e completare la preparazione.