Il favismo, conosciuto anche come deficit di G6PD (glucosio-6-fosfato deidrogenasi), è una condizione ereditaria che colpisce migliaia di persone in tutto il mondo, con una presenza particolarmente significativa anche in Italia, soprattutto in alcune regioni del Sud. Sebbene il nome possa suggerire un’intolleranza generica nei confronti delle fave, la realtà è più complessa e coinvolge un’interazione tra genetica, alimentazione e risposta dell’organismo a determinati agenti ossidanti.
Cosa è il favismo?
Il favismo è una forma di anemia emolitica acuta, che si manifesta in soggetti affetti da un difetto enzimatico a carico dei globuli rossi. La causa risiede nella carenza dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi, fondamentale per proteggere i globuli rossi dallo stress ossidativo. Quando un soggetto carente di questo enzima entra in contatto con alcune sostanze ossidanti, tra cui composti presenti nelle fave fresche o secche, o in alcuni farmaci e sostanze chimiche, i suoi globuli rossi possono andare incontro a una rottura improvvisa e massiccia, fenomeno noto come emolisi. Questa rottura causa una rapida diminuzione dell’emoglobina circolante e può portare a sintomi anche gravi, come ittero, febbre, urine scure, stanchezza improvvisa, dolori addominali e, nei casi più acuti, problemi respiratori e rischio di insufficienza renale.
Cosa c’entrano le fave?
Il nome “favismo” deriva proprio dall’effetto scatenante più noto: l’ingestione di fave. Tuttavia, non tutte le persone con deficit di G6PD sviluppano sintomi dopo il contatto con questi legumi. Alcuni individui possono avere un deficit enzimatico lieve, che non porta a manifestazioni cliniche evidenti. Altri, invece, sono altamente sensibili, tanto che anche il solo inalare il polline delle fave o trovarsi in ambienti dove vengono manipolate può bastare a scatenare una crisi.
Il favismo nel Bel Paese
In Italia è una condizione particolarmente diffusa nelle regioni del centro-sud e nelle isole, come la Sardegna, la Sicilia, il Lazio meridionale, la Calabria e la Puglia. Questa distribuzione geografica non è casuale: il gene responsabile del deficit di G6PD è più comune nelle popolazioni che in passato hanno avuto contatti frequenti con aree in cui la malaria era endemica. Infatti, la carenza dell’enzima offre una certa protezione naturale contro la malaria, e per questo motivo si è conservata in alcune popolazioni nel corso dell’evoluzione. Questo paradosso evolutivo, per cui un difetto genetico si conserva perché porta con sé anche un vantaggio selettivo, spiega perché oggi, in regioni italiane dove la malaria era presente fino alla metà del Novecento, si osserva ancora una percentuale relativamente alta di soggetti affetti da favismo.
Come si scopre?
La diagnosi avviene solitamente tramite esame del sangue, che permette di misurare i livelli dell’enzima G6PD. In molte regioni italiane, soprattutto nelle aree a rischio, lo screening viene effettuato alla nascita, proprio per identificare precocemente i neonati affetti e prevenire situazioni pericolose. È importante sottolineare che il favismo non è una malattia contagiosa né progressiva: è una condizione stabile e permanente, che può essere gestita con un’attenta prevenzione.
Importante è la prevenzione
La prevenzione consiste principalmente nell’evitare l’esposizione a sostanze ossidanti, prime fra tutte le fave e i loro derivati. Ma è fondamentale anche conoscere i farmaci e le sostanze chimiche che possono provocare emolisi nei soggetti con deficit di G6PD. Alcuni antibiotici, antipiretici e antimalarici, per esempio, sono assolutamente da evitare. Per questo motivo, chi è affetto da favismo dovrebbe sempre informare medici e farmacisti della propria condizione e, se possibile, portare con sé un documento o un tesserino sanitario che lo segnali chiaramente.
Dal punto di vista sociale e culturale, il favismo ha lasciato un’impronta visibile soprattutto nelle aree dove la sua incidenza è maggiore. In molti comuni sardi o laziali, ad esempio, esistono ordinanze municipali che vietano la coltivazione o la vendita di fave nei pressi delle scuole o nei luoghi pubblici. In primavera, quando le fave sono di stagione, i soggetti affetti da favismo devono prestare particolare attenzione, evitando mercati, orti o ambienti in cui si manipolano questi legumi. Anche nelle mense scolastiche e negli ospedali, nei territori a rischio, è prassi comune escludere le fave dal menu.
La convivenza con il favismo, dunque, richiede una certa consapevolezza e un’attenzione quotidiana, ma non compromette in alcun modo la qualità della vita, a patto di seguire alcune semplici regole. È essenziale anche il ruolo dell’informazione e della sensibilizzazione, affinché chi convive con questa condizione possa affrontarla senza stigma o paure eccessive.
di Camilla Rocca